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"Una diossina intellettuale sta decretando il Declino e la Caduta dell'Impero dell'Essere Umano...
e se non avessi qualche speranza lascerei perdere." F. Battiato
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Invitiamo i singoli, le associazioni, i centri sociali ad aderire all'appello per la costruzione di appuntamenti di mobilitazione e sensibilizzazione su tutto il territorio comprensoriale.

Contro discariche ed inceneritori. Per il Trattamento Meccanico Biologico (MBT): trattamento a freddo dei rifiuti. Per le dimissioni immediate del presidente dell’Ente Parco Vesuvio e di tutti i sindaci colpevoli dell’ecocidio in atto. Per una stagione dell’autogoverno collettivo. Per un nuovo piano rifiuti deciso dalle comunità locali autorganizzate. Per l’avvio reale della raccolta differenziata porta a porta. Per il salario garantito a precari e disoccupati che qui vivono disperano muoiono. Per Riciclo, Riuso e Compostaggio. Per un piano straordinario di bonifica delle aree inquinate. Contro il capitalismo della catastrofe.


Movimento Difesa del Territorio Area Vesuviana

Collettivo Area Vesuviana

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giovedì 4 febbraio 2010

contributo all'analisi della fase

Il progetto che non c’è.

Sud/lavoro/profitto.

In tempi di spaesamento e di grandissimo sconforto, di delocalizzazione spinta di ogni relazione sociale, “fare mente locale” significa rammemorare l’orientamento, ridefinire i contesti delle proprie esistenze nel dialogo congeniale con i luoghi ove esse si danno. Reimparare ad abitare è, per noi, la posta in gioco nella partita contro la megamacchina dell’estraneazione che è la società di capitale. E’ proprio la questione dell’abitare che oggi torna, seppur ancora nascostamente e spesso in modo distorto, al centro della riflessione di chi sente l’insostenibile peso e la trasparente violenza della condizione moderna, del suo accelerare verso “nuove” forme di “flessibilità” (siano esse relative al salario o alle mansioni o, ancora, al domicilio o all’etica); del suo evolvere nel senso della monocultura del profitto che, appunto, a se ogni cosa flette; del suo annichilire i luoghi nella riproduzione di questa materia sociale; della sua volontà di potenza che è volontà coloniale, pervasività delle sue forme di dominio. Come riprendere, quindi, la via dell’abitare occultata dalle abbacinanti trasparenze dei rapporti sociali dominanti? Come abitare? Se la risposta del Capitale a quest’ ultima domanda appare già data nei suoi processi di “globalizzazione” dell’economia e di “mondializzazione” dei suoi presupposti culturali, che attualmente spingono alla moderna Europa di Maastricht, la nostra risposta è, invece, ancora in formazione e per lo più si dà al negativo o in forma interrogativa. Sappiamo bene ciò che non vogliamo e, nello stesso tempo, fatichiamo ad uscire da quella che ci è continuamente rappresentata e spesso ci appare come l’unica storia possibile. Deficitiamo, in sostanza, di visioni attive. E ciò non è certo un caso essendo questa deficienza il prodotto specifico dell’immaginario moderno dominante. Come prodursi, quindi, in visioni attive? Come riprendere il dialogo con il sé nascosto, con la comunità che non c’è, con il luogo che non c’è, con l’abitare che non c’è? Che significa abitare? Sappiamo che ciò rimanda all’accordatura reciproca dimora/dimorante e che questa può darsi abbracciando strategicamente la dimensione locale. Ma come ritrovare il ritmo se le forme dell’esistenza sociale, politica, economica, culturale modellate dal capitale lavorano incessantemente alla disarmonia, allo squilibrio, alla delocalizzazione ovvero alla uniformazione indifferenziata dello spazio sociale/ambientale? Ciò che appare ormai indispensabile è lavorare ad un dimensionamento dei saperi e dei gesti di rottura, di quei saperi e di quei gesti che aboliscono, nel loro prodursi, l’impero delle relazioni di capitale ed alludono all’esistenza di comunità reali. Prodursi in saperi e pratiche non soggiogate, muoversi fuori dalla logica della produzione di profitto è già dar consistenza al progetto-che-non-c’è, ma di cui avvertiamo la necessità. Nelle luci accecanti dell’esistente, piccole zone d’ombra permettono di muoversi al riorientamento di pratiche di liberazione. Nel meridione d’italia, nei nostri territori, le condizioni oggettive dello sviluppo capitalistico hanno concretamente lavorato alla disgregazione sociale ed alla distruzione ambientale senza neppure creare quel surrogato di benessere e di stolida ricchezza che altre parti d’italia hanno “goduto” o “subito”, a seconda dei punti di vista. Pienamente irretiti dalle seduzioni del capitale, ma complessivamente senza “capitali”, eccoci tutti a fare i conti con ciò che rimane: desolidarizzazione, disoccupazione, abbattimento dei redditi, abbattimento dei salari, enorme indebitamento bancario individuale, emarginazione, perdita delle identità, devastazione ambientale e culturale, sviluppo esponenziale dell’extralegalità, delle carcerazioni, corruzione, estesa militarizzazione del territorio, cementificazione selvaggia, impoverimento ed inquinamento delle falde acquifere, inquinamento da fanghi, da pesticidi, …e via così e peggio. Orientarsi in questo desolato orizzonte di cose e di esseri è certo impresa ardua, tuttavia è questa la posta in gioco a meno di scegliere l’emigrazione (che del resto fa parte del medesimo orizzonte) o la fuga (concreta o ideale che sia) verso improbabili paradisi. Orientarsi significa per noi, lavorare nei luoghi di appartenenza al restauro di relazioni non agite dalla dimensione del profitto; è iniziare quella faticosa ma indispensabile opera che chiamiamo ricomposizione comunitaria. E’ in questo percorso di lotta per la ridefinizione dei luoghi della produzione, dello studio, della festa, … dell’abitare che si impara e si insegna ad orientarsi. Sappiamo tutti quanto sia “utopistico” pensare, oggi, questo tipo di lavoro; quanto questa opera di restauro si dia per lo più come allusione concreta. Nelle attuali condizioni storiche l’opera di restauro indossa gli abiti della valenza immaginale. Eppure se sin dall’inizio, nelle lotte sui programmi immediati che dallo specifico locale prendono le mosse (siano essi relativi all’uso della finanza comunale; agli usi civici; al ripristino ecologico del territorio, alla salute; agli inquinamenti; al reddito ed alla difesa del salario; ecc.), questa “utopia” non informerà di sé le ragioni dei conflitti, allora, sarà inevitabile cadere nelle trappole dell’esistente.

Enzo

M.A.A.V.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Si, probabilmente lo e

Anonimo ha detto...

molto intiresno, grazie